Giulia Vazzoler e le riflessioni sul mondo del Conservatorio

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giulia vazzoler

CAMPOBASSO – La pianista trevigiana Giulia Vazzoler – oltre 100.000 follower su Instagram – racconta i retroscena della attività d’insegnante al Conservatorio di Campobasso divisa fra Dad, lezioni in presenza, chilometri di viaggio (Venezia-Campobasso A/R) ed esperienze passate, anche molto difficili, in un mondo del quale si parla poco, cogliendo l’occasione per fare una riflessione al femminile sul mondo dell’Alta Formazione Musicale, lanciando una piccola provocazione ai colleghi e al settore stesso, diviso fra rinnovamento e autoreferenzialità sottolineando il pericolo dei “cattivi maestri”.

«Altro che femme fatale, meglio dire, AFAM Fatale! Dove AFAM sta per Alta Formazione Artistica Musicale. Dopo la sveglia (prima dell’alba) passano almeno 9 ore prima di varcare la soglia del Conservatorio di Campobasso. Di mezzo c’è un viaggio infinito fra aerei, treni e macchine a noleggio, che inizia dalla provincia di Venezia – ad almeno 600 km di distanza dal Molise – e termina in un B&B: un pranzo al volo e si entra in aula». Con la voglia di raccontare il mondo del Conservatorio Giulia Vazzoler prende in prestito un’espressione autoironica coniata da un collega del mondo AFAM, il docente Piero Di Egidio.

«I corsi al Conservatorio, un mondo del quale si parla poco, non durano più dieci anni come una volta! Ma non tutti lo sanno! E i generi più svariati, dal pop al rock passando per il jazz fino alla musica indiana, hanno affiancato la classica. Questo processo ha fatto entrare aria fresca e uscire il pregiudizio che distingue fra generi di serie A e di serie B» racconta la musicista e docente.

La “confessione” accompagnata da un video-racconto di una giornata tipo da pendolare lascia spazio anche a una piccola provocazione rivolta alla categoria che rischia di «imprigionarsi» in una nicchia autoreferenziale e ancorata ai metodi comunicativi del passato. «Ai miei colleghi dico: basta arroccarci nella nostra torre d’avorio e pensare ancora al mondo della musica classica come si faceva cinquant’anni fa. I tempi sono cambiati, il pubblico è cambiato e le modalità di fruizione e di ascolto della musica stessa sono cambiate! Dopo anni di studi, oggi, a 34 anni, sono passata dall’altra parte: sono orgogliosa di esserci arrivata in così giovane età, ma sento in particolar modo la responsabilità del mio ruolo.

Il rapporto maestro-allievo è uno degli aspetti più delicati del nostro ambiente. È un rapporto 1-1, nel quale il lato umano è sempre in primo piano. Non è come all’università, dove un docente fa la sua lezione frontale davanti a 10, 50, 100 studenti. E lo studio di uno strumento non coinvolge solo la testa, ma anche la motricità, la fisicità, il coordinamento. E se questo rapporto non è sano, se non è costruttivo, le conseguenze sulla tua vita professionale e personale possono essere pesantissime. E lo dico per esperienza. Ora è acqua passata e io ho trovato la forza per non smettere mai di suonare e anzi, fare strada in questo mondo seguendo i miei obiettivi. Guardare indietro a testa alta e vedere dove sono arrivata ora è la mia soddisfazione più grande, perché nessuno mi ha regalato niente. Ma è stata dura.

Durante il mio percorso formativo ho avuto la fortuna di studiare con grandi maestri ma, purtroppo, ho anche incontrato insegnanti incapaci di relazionarsi in modo sano con gli allievi, che mi hanno fatta sentire inadeguata, non all’altezza. Demolitorio è una parola forte ma è tristemente adatta a descrivere il metodo di “cattivi maestri” con cui io e tanti altri come me hanno studiato in passato. Ho visto colleghi con un talento smisurato abbandonare per sempre lo strumento. E per cosa? Perché chi dovrebbe sostenerti al contrario ti distrugge? Alcuni docenti non comprendono che ogni allievo è diverso, e lo stesso approccio non funziona con tutti. Bisogna sapersi modulare: c’è chi ha bisogno di essere spronato con metodi un po’ più decisi, e chi non sopporta la pressione e ha invece bisogno di un costante incoraggiamento.

Non dimentichiamo poi che l’aspetto fisico spesso è un’arma a doppio taglio. Nell’immaginario di molte persone, se sei una bella ragazza, non puoi essere anche brava. Molti pensano ancora che tu sia arrivata a un certo punto perché hai preso delle scorciatoie, o perché sei stata favorita, e non perché hai lavorato sodo. Ho affrontato periodi molto bui che ora sono fiera di poter dire di essermi lasciata alle spalle. Oggi faccio tesoro della mia esperienza e mi impegno a trasmettere ai miei allievi entusiasmo e positività coniugandoli in modo sano alla giusta autorevolezza che richiede l’alta formazione musicale».