Messa Crismale 2020 a Termoli e omelia del Vescovo De Luca [VIDEO]

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messa crismale termoli 2020

La solenne celebrazione si è tenuta lo scorso 30 maggio nella chiesa di San Francesco d’Assisi a Termoli. Riviviamo assieme le emozioni

TERMOLI – Sabato 30 maggio 2020 il Vescovo, mons. Gianfranco De Luca, ha presieduto la solenne Messa Crismale nella chiesa di San Francesco d’Assisi a Termoli durante la quale ha consacrato il Sacro Crisma e gli oli per i catecumeni e per gli infermi.

Alla celebrazione, che normalmente si svolge nella serata del Mercoledì Santo ed è stata rinviata a causa dell’emergenza sanitaria, hanno preso parte il Presbiterio e i rappresentanti delle comunità religiose e delle comunità parrocchiali. In rispetto delle prescrizioni di sicurezza l’ingresso è stato regolamentato con mascherine e dispositivi, compreso un kit speciale fornito ai presenti per consentire la partecipazione in modo ordinato, alle distanze previste e la possibilità di ricevere l’eucarestia. Nel corso della messa, trasmessa in diretta streaming, sono state rinnovate le promesse sacerdotali, dei religiosi e delle religiose e degli sposi. Gli oli benedetti sono stati consegnati ai parroci e ai cappellani degli ospedali e dell’Hospice “Madre Teresa di Calcutta” di Larino.

“È molto bello rivederci tutti insieme come popolo di Dio in questo momento così significativo in cui si esprime la bellezza e la ricchezza della nostra chiesa diocesana” ha osservato mons. De Luca ringraziando tutti i sacerdoti “che hanno vissuto questi giorni di fatica e sofferenza testimoniando il loro essere pastori nella loro pluriformità senza sottrarsi al loro compito e nella vicinanza ai poveri e ai sofferenti. Questo – ha aggiunto – rappresenta un dono di Dio che testimonia la nostra fedeltà a Gesù che nasce dalla sua fedeltà a noi”.

OMELIA

Chiesa di San Francesco – Termoli, 30 maggio 2020
Vigilia di Pentecoste – Messa Crismale
Omelia del Vescovo, mons. Gianfranco De Luca

La liturgia della Parola ci consegna tre immagini: una valle piena di ossa inaridite; un gemito inesprimibile come le doglie di un parto, quelle che Paolo coglie nella natura e in ciascuno di noi; un grido, quello di Gesù ritto in piedi nel mezzo della festa… Tutte e tre sono in relazione con lo Spirito Santo:
1) nella prima immagine, in seguito alla Parola profetica di Ezechiele, lo Spirito ridà carne a quelle ossa che ritornarono in vita e si alzarono in piedi, formando un esercito grande, sterminato;
2) nella seconda, lo Spirito è visto come agente interno che opera in ciascuno la graduale trasformazione in figli del Padre, e nella creazione il compimento verso i cieli nuovi e le terre nuove;
3) nella terza, Gesù facendo leva sul bisogno vitale della sete che vive in ogni persona umana e nella natura stessa, si propone come fonte di acqua viva che accolta, diventa sorgente zampillante, e questo – come chiosa San Giovanni – lo diceva dello Spirito che avrebbe ricevuto chi crede in Lui.

Queste immagini che la Parola ci propone, possono aiutarci a leggere il tempo che stiamo attraversando per viverci “dentro” da cristiani e da popolo di Dio. In questi giorni abbiamo sperimentato tutti un senso di desolazione e di impotenza dinanzi all’imperversare della pandemia e delle sue conseguenze. Così come abbiamo avvertito forte la spinta a non rassegnarci. Il desiderio di vita ci ha spinti oltre: lo abbiamo visto espresso in quell’ “andrà tutto bene” sovrastato dall’arcobaleno. Desiderio che è diventato azione: nella partecipazione di milioni di persone alla Messa celebrata dal Papa in Santa Marta, nella preghiera personale e comunitaria che ha avuto il suo culmine in quella veglia di Adorazione del 27 marzo in Piazza San Pietro e poi il 14 maggio, quando i credenti di tutto il mondo hanno digiunato e pregato per chiedere la cessazione della pandemia; nell’azione dei nostri governati che stanno elaborando interventi di sostegno economico e sociale.

Gesù che grida “se qualcuno ha sete venga a me e beva” ci ricorda e ci ridona la certezza-possibilità che è dentro ciascuno: la presenza dello Spirito che Lui dona, vero motore di trasformazione del mondo e fondamento della speranza che è più forte di ogni avversità. È chiaro, carissimi, qui viene indicato lo specifico che, come cristiani e come Popolo di Dio, abbiamo in questo tempo e tra la nostra gente: rendere presente il grido e l’azione di Gesù, noi siamo “altri Cristo”, la Chiesa è sacramento di Cristo nel mondo.

La Messa Crismale che celebriamo stasera, non è un recupero in extremis e rabberciato e abbastanza mutilato, di una celebrazione solita e certamente necessaria per il cammino della nostra Chiesa Diocesana: nel suo accadere ci attrezza e ci chiama alla nostra vocazione e missione. Siamo amati da Cristo: dal Suo Sangue lavati e liberati dai nostri peccati e costituiti suo Popolo, sacerdoti per il suo Dio e Padre.

Carissimi fratelli presbiteri, carissimi consacrati e consacrate, carissimi sposi, è bello e profondamente consolante ritrovarci qui, stasera: siamo la Chiesa di Gesù, nella sua pluriformità, nella unità fondata sul servizio apostolico e nella sua santità nutrita e alimentata dai sacramenti; rinnoviamo la nostra dedizione a Cristo e ci apriamo al dono della sua grazia e alla sua azione che, nel segno del Crisma e nel gesto dell’unzione, trova la specificità di azione sanante e armonizzante.

Stiamo vivendo giorni unici e particolari, è vero! Sarebbe bello ascoltare da ciascuno il racconto del percorso interiore che ha vissuto e sta vivendo, siamo qui anche per consegnare tutto al Signore e ripartire da Lui in modo rinnovato e con una consapevolezza maggiore del suo amore e della sua compagnia che si fa unzione nella nostra vita e nelle nostre relazioni.

Desidero condividere con voi alcune piccole esperienze che hanno caratterizzato questo tempo e stanno crescendo dentro di me. All’inizio del mese di marzo mi è capitato di partecipare ad una videoconferenza con vescovi di tutte le parti del mondo e dei vari continenti, e ho avuto una sensazione stranissima: mi sembravano tutti vicini di casa, come se abitassimo nella stessa via di paese! Le cose che ci raccontavamo e le situazioni che vivevamo erano così simili che le distanze erano azzerate.

Questa sensazione mi ha fatto pensare alla comunanza che esiste tra tutti gli esseri umani e anche con la realtà che ci circonda. Il virus, nel suo irrompere e nel suo diffondersi, ci accomunava, quasi a richiamarci a una verità che, pur scontata, non sempre è presente nelle nostre decisioni e nel nostro stile di vita, dove il metro di riferimento sono io e le mie esigenze. Siamo uguali e profondamente interconnessi.

Questo mi ha invitato a rivedere, nella logica della sobrietà e dell’essenzialità, la mia vita e le mie esigenze e anche le mie responsabilità pastorali. Quante cose ho da condividere, quanto “di più” nella mia vita e nelle mie esigenze. In realtà questa pandemia esplosa casualmente ha messo in risalto altre “pandemie”, sicuramente più gravi e dannose, alle quali siamo abituati e di cui siamo più o meno consapevolmente corresponsabili: pensiamo alle disuguaglianze che prosperano in tutte le dimensioni del vivere sociale ed economico, all’azione depredatrice che si svolge nei confronti della natura, e alle conseguenti stragi che esse procurano quotidianamente.

La sobrietà come stile di vita: dobbiamo imparare dalle piante, prendono dalla terra solo quello di cui hanno bisogno e non cercano di accumulare oltre. Un altro aspetto che mi è venuto in evidenza è il momento presente. Tutti i programmi sono saltati, i progetti messi in attesa, un senso di vuoto e un’ansia profonda hanno fatto capolino nell’animo. Cosa mi ha aiutato? La consapevolezza che tutto si gioca nell’attimo presente, anzi che ho solo e unicamente l’attimo presente per amare Dio e servire il prossimo.

“Gesù, per amarti non ho che adesso” diceva santa Teresina di Gesù Bambino. E san Giovanni Paolo II ai giovani scriveva: «È lungo i sentieri dell’esistenza quotidiana che potete incontrare il Signore!… Questa è la fondamentale dimensione dell’incontro: non si ha a che fare con qualcosa, ma con Qualcuno, con il “Vivente”». Alla fine della vita non conteranno le cose fatte, i progetti realizzati, ma resterà l’amore accolto, condiviso e donato. E ogni attimo è quello giusto per vivere nell’amore. Questo mi ha messo nella pace e mi ha fatto vivere in pienezza. Un’altra esperienza ha caratterizzato questo mio tempo: le norme che ci hanno obbligato alla distanza di sicurezza e impedito gli incontri, hanno fatto crescere la consapevolezza dell’importanza vitale delle relazioni. Questo da una parte mi ha aperto, in modo vitale, all’importanza dei mezzi di comunicazione e alla loro potenziale positività, quando restano luogo attraverso il quale passa l’umano vissuto nella verità e nell’amore.

Gli incontri vissuti sulle piattaforme digitali, i vari appuntamenti in streaming, il pellegrinaggio virtuale di famiglia in famiglia per pregare il Santo Rosario, le varie missive scritte, hanno tenuto viva la mia appartenenza al Popolo di Dio e aperto ulteriori strade per una reale condivisione. Dall’altra parte non hanno sostituito la relazione: infatti è cresciuta la consapevolezza del valore della corporeità, del contatto con gli altri. Il corpo è il primo e fondamentale mezzo di comunicazione e di recezione della comunicazione e in quanto tale non può mai essere saltato, escluso.

Io sono il mio corpo, e nel mio corpo è scritto che sono per gli altri e sono in quanto entro in relazione con gli altri e l’intero creato che vive e cammina verso la pienezza solo grazie a una relazione che è fatta di accoglienza, rispetto, custodia e valorizzazione. È stata una gioia dell’anima poter ricelebrare nelle nostre Basiliche e più in generale nelle Chiese, presente il popolo: quelle pietre e quegli spazi si sono come aperti alla comunione con gli uomini e le donne che lungo i secoli vi hanno pregato, lodato Dio e consegnato a Lui la propria esistenza, risultando così, vive e viventi.

Carissimi, una certezza va crescendo nel mio animo e mi invita ad entrare in un nuovo sguardo sulla realtà e sulla storia che viviamo: lo Spirito di Gesù, effuso in quel forte Grido dall’alto della Croce, è in azione nella esistenza e nella storia degli uomini e delle donne di ogni lingua popolo e nazione, noi cristiani, come dice l’apostolo, ne possediamo le primizie, la sua azione trasformante va oltre quello che noi possiamo percepire e immaginare, ma è reale e concreta. Sono convinto che più lo lascerò lavorare i me più ne saprò scoprire le l’azione e i frutti intorno a me.