“Ma non c’è da meravigliarsi – spiega Guacci – se si considera la stretta tutela legale garantita al lupo con il divieto di caccia disposto temporaneamente nella prima metà degli anni Settanta e reso poi definitivo nel 1976. La realizzazione di numerose aree protette lungo l’Appennino, a partire dagli anni Novanta, ha creato inoltre zone di silenzio venatorio e quindi di rifugio. Infine – prosegue – va tenuto presente l’aumento delle fonti alimentari a sua disposizione, grazie alle massicce reintroduzioni di Ungulati per l’attività di caccia, come il capriolo e, soprattutto, il cinghiale che costituisce ad oggi circa il 70% della dieta del lupo. Una situazione che, pur non giustificando particolari allarmismi, suggerisce per la sicurezza degli animali da reddito e da compagnia di aumentare le difese passive mediante una più attenta custodia diurna e il ricovero notturno. Nonché l’incremento di quelle attive, tornando a utilizzare il più valido ed efficace collaboratore dell’uomo allevatore: i nostri cani da pastore, il mastino abruzzese, che ha maturato una esperienza millenaria nel contrasto ai predatori”.
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