Al Responsible Hospital un caso clinico diventato esempio: il Prof. Iesu accoglie l’appello di una madre e salva un paziente
CAMPOBASSO – Ci sono storie che non restano confinate tra le mura di un ospedale. Storie che diventano patrimonio collettivo perché parlano a ciascuno di noi, toccando le corde più intime: la paura, la speranza, l’amore incondizionato. È il caso di quanto accaduto poche settimane fa a Campobasso, al Responsible Research Hospital, dove un uomo di 40 anni, colpito da una grave recidiva di endocardite, ha visto cambiare il proprio destino grazie a un intreccio di coraggio, ascolto e competenza.
Al Responsible Research Hospital di Campobasso si è scritta, infatti, una storia che va oltre la medicina e si radica nella dimensione più profonda dell’umanità. Una storia che inizia con la voce di una madre, forte e fragile al tempo stesso, che il primo agosto ha lanciato un appello pubblico per salvare il figlio quarantenne, colpito da una grave recidiva di endocardite e già operato anni prima al cuore.
Le sue parole, semplici ma cariche di angoscia, hanno trovato ascolto là dove altri avevano chiuso le porte: “Nessuno voleva operarlo. Ci siamo rivolti a tre strutture pubbliche in Campania, ma tutte hanno rifiutato di prendersi cura di lui. Solo il professor Iesu può salvarlo”, aveva detto, affidando la speranza più grande al potere delle parole. E proprio quel nome, il Professor Severino Iesu, cardiochirurgo di fama internazionale e oggi alla guida del Dipartimento di Scienze Cardiovascolari del Responsible Research Hospital, è diventato il perno di questa vicenda. Perché non si è trattato solo di accogliere una richiesta clinica, ma di leggere tra le righe di un appello disperato la volontà incrollabile di una madre di non arrendersi.
Il professor Iesu ha agito in silenzio, senza proclami, ordinando il trasferimento immediato del paziente dall’ospedale di Eboli a Campobasso, predisponendo un eventuale intervento chirurgico estremamente delicato, ad altissimo rischio, ma possibile grazie a una struttura capace di coniugare eccellenza tecnica e sensibilità umana. Si è optato per una strategia di “attesa armata”: il team medico era pronto a intervenire chirurgicamente qualora la terapia farmacologica non avesse dato i risultati sperati. Fortunatamente, il trattamento si è rivelato efficace e, dopo circa un mese di ricovero e cure mirate, il paziente è stato dimesso completamente guarito.
Il caso ha suscitato un’ondata di commozione e riconoscenza, rilanciata anche da alcune testate regionali, ma ciò che al pubblico può sembrare straordinario rappresenta, per il Responsible Research Hospital, la sintesi di un impegno quotidiano: salvare vite, anche quando le probabilità sembrano esili, e farlo mettendo sempre al centro la persona.
“Il nostro dovere non è dire cosa è facile, ma cosa è giusto,” ha commentato il professor Iesu. “E ciò che è giusto è non lasciare nessuno indietro.” In un tempo in cui la sanità pubblica e privata si confrontano con limiti strutturali e difficili scelte operative, questa vicenda dimostra che esiste un modello possibile fondato sulla responsabilità, sulla professionalità e sull’ascolto. Una madre, un medico, un’équipe: tre forze che si sono incontrate al momento giusto e nel posto giusto, generando non solo un intervento riuscito, ma una vera rinascita. E oggi Campobasso, grazie al lavoro silenzioso ma determinante del Responsible Research Hospital, ospedale d’eccellenza, può raccontare una storia che è molto più di un caso clinico: è un esempio di sanità che cura, accoglie e non si volta dall’altra parte.